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■ Il castello di
Ravecanina (Raviscanina)
Gli imponenti ruderi che si
innalzano tra i Comuni di Raviscanina e S. Angelo d’ Alife vengono oggi
chiamati Castello di Rupecanina, ma i cronisti e i documenti del Medioevo ci
hanno tramandato ben cinque denominazioni diverse: Rabicanu, Sapacanina, Ravecanina,
Rapacanina e Rupecanina. E’ evidente che il vero nome è stato variamente
storpiato.
Tuttavia
un’ analisi accurata delle antiche cronache ci assicura che, a quell’ epoca, la
denominazione corrente fu Ravecanina, così come ci confermano alcuni documenti
del 1195, nei quali il conte di Alife dice di essere Giovanni de Ravecanina.
Ma questo non fu il solo
toponimo indicante il Castello. Infatti altri documenti lo chiamano Castello di
S. Angelo de Ravecanina, sempre in riferimento ad una località che trovavasi
nel luogo, o poco lontano, da dove oggi si trova l’ abitato di Raviscanina.
Molto incerte sono le
origini del Castello, che, al suo primo sorgere, non fu così come i ruderi di
oggi ce lo fanno supporre. Si cominciò da qualche semplice costruzione, voluta
dall’ autorità politica di Alife che intendeva crearsi un sicuro rifugio contro
eventuali nemici, come i Saraceni, che per tutto il secolo IX saccheggiarono
continuamente l’ Italia Meridionale e spesso devastarono anche la pianura alifana.
Così si pensò di fortificare
questa collina che, abbastanza , del tutto priva di vegetazione e di malagevole
accesso, avrebbe dissuaso il nemico dall’ impegnarsi in un lungo e difficile
assedio, mentre più facili prede gli si offrivano, pressoché indifese, nella
valle.
Col passare del tempo l’
insistenza dei pericoli vi fece trasferire altre famiglie alifane, le più
ricche, perciò alle prime costruzioni dovettero aggiungersene altre per
accogliere i nuovi arrivati. Chiuso così da robuste mura e torri, si formò un
poderoso castello, il più forte della zona, dove, probabilmente, ebbero stabile
dimora i gastaldi longobardi e poi in epoca normanna, i conti di Alife, protetti
da una fitta schiera di armati.
Numerose furono le vicende
storiche di cui il Castello dovette essere testimone, ma ci sono note solo
quelle relative alò secolo XII, che videro protagonisti i Drengot, conti di
Alife, e principalmente Riccardo ed Andrea di Ravecanina.
Infatti nel 1130 Ruggero il
Normanno ottenne dal papa Anacleto la corona di Sicilia, con la quale estese il
suo dominio fin nella Puglia e nella Campania. Minacciati nella loro autonomia
si opposero al nuovo sovrano prima Grimoaldo di Bari e Tancredi di Conversano,
poi il conte di Alife, Rainulfo, con il fratello Riccardo di Ravecanina.
Si venne quindi alle armi e
Ruggero fu battuto, il 24 luglio 1134, a Scafati, ma in seguito riuscì a
mettere in gravi difficoltà i due fratelli, tanto che Rainulfo dovette chiedere
perdono, mentre Riccardo cedeva in ostaggio il suo primogenito, Giovanni.
Ma nel 1135 ripresero gli
scontri e Ruggero, sbarcato a Salerno, espugnò prima Aversa e poi si impadronì
di Alife e del Castello di Ravecanina. Riccardo e Roberto, principe di Capua,
si rifugiarono a Pisa presso il papa Innocenzo II, che li mandò in Germania a
chiedere l’ aiuto dell’ imperatore Lotario.
Questi, sceso in Italia nel
1136, costrinse Ruggero a tornare in Sicilia e nominò Rainulfo duca di Puglia,
mentre il fratello, Riccardo di Ravecanina, diventava conte di Alife. Ma
partito l’ imperatore, ricomparve Ruggero, che però fu nuovamente battuto il 29
ottobre a Rignano Garganico. Dopo questa triste esperienza Ruggero evitò nuovi
scontri e preferì devastare quei territori che le esigue schiere di Rainulfo
non riuscivano a difendere. Alife fu incendiata e ridotta in misere condizioni,
mentre Riccardo, impotente, si chiudeva nel Castello di Ravecanina.
L’ anno 1139 fu poco
fortunato per i Normanni ribelli, perché il 30 aprile Rainulfo morì improvvisamente,
lasciando a Riccardo di Ravecanina e a Roberto di Capua il difficile compito di
continuare la lotta. Il 22 luglio combatterono a Galluccio, ma, sebbene aiutati
dalle truppe di Innocenzo II, furono battuti e dovettero fuggire in Germania,
alla corte dell’ imperatore Corrado III, dove Riccardo di Ravecanina col suo
secondo figlio, Andrea.
L’ esilio dei nobili
normanni durò a lungo; Riccardo vi morì, ma il figlio tornò in Italia nel 1155
al seguito di Federico Barbarossa, sceso a Roma per farsi incoronare dal papa.
Con pochi soldati ottenuti dall’ imperatore, Andrea corse subito verso la
Campania e poi, partito il Barbarossa, si incontrò a Cassino, il 29 settembre,
col papa Adriano IV, che lo esortò a riprendere i territori paterni e gli
assicurò la sua protezione.
Perciò, favorito anche dalla
falsa notizia della morte di Guglielmo, nuovo re di Sicilia, Andrea di
Ravecanina tornò nelle sue terre, scacciandone Rainone di Prata. Ma intanto
Guglielmo partiva da Palermo e dopo qualche settimana, vittorioso in Puglia, si
avviò minaccioso contro Andrea che dovette correre a Benevento, presso il papa,
il quale ottenne per il suo protetto la libertà in esilio.
Rifugiatosi in Abruzzo e poi
ad Ancona, il normanno ricevette da Emanuele, imperatore bizantino, danaro e
uomini con i quali, nel novembre 1156, riprese la lotta, conquistando numerose
città della valle del Garigliano.
La notizia dei suoi successi
giunse esagerata alla corte di Costantinopoli, dove si parlava di 300 città
espugnate da Andrea di Ravecanina, e nell’ euforia di queste notizie l’ imperatore
fece trascrivere i nomi delle città conquistate nella sala da pranzo del
palazzo imperiale.
All’ inizio del nuovo anno,
1157, Andrea si impadronì anche del Monastero di Montecassino, lo tenne fino al
10 marzo e poi partì alla volta di Milano per portare il suo contributo di
esperto e valoroso soldato al Barbarossa che assediava la città.
Nel 1161 il normanno riprese
un’ altra volta le terre paterne, ma l’ intervento di Aquino di Moac lo
costrinse a fuggire a Costantinopoli con lo scopo di ottenere nuove truppe. La
richiesta non fu accolta e Andrea, tornato in Germania, dovette attendere fino
al 1166, allorché una nuova spedizione del Barbarossa gli offrì l’ occasione
per una rivincita.
Infatti l’ imperatore, in
lotta col papa Alessandro III, affidò ad Andrea ed al cancelliere Rainaldo i
Dassel una parte dell’ esercito e li mandò alla conquista di Roma. La città fu
presa verso la fine del maggio del 1166, ed Andrea proseguì poi verso la
Campania, espugnando alcune città della Ciociaria. Intanto a Roma scoppiava un’
orribile pestilenza che costrinse il Barbarossa a ritirarsi precipitosamente in
Germania, lasciando senza alcun sostegno il nobile normanno.
Dopo questi eventi le
cronache non hanno più memoria di Andrea di Ravecanina, perciò non sappiamo se
l’ indomabile normanno abbia finito i suoi giorni in esilio, o fu tra coloro
che rientrarono nei loro feudi a seguito del perdono che Guglielmo II accordò
nel 1169.
In tale ultima ipotesi si
può supporre che gli fosse stato confermato il titolo di conte di Alife, restando
quindi nella contea e nel Castello di Ravecanina fino alla morte. Questa,
infine, potrebbe fissarsi al 1192, anno in cui ad Andrea succederebbe il
fratello, Giovanni di Ravecanina, già ostaggio alla corte di Palermo e poi, dal
1192, conte di Alife, così come si trae dalle pergamene Fusco.
Null’ altro sappiamo delle
successive vicende del Castello, ma dovette essere abitato ed utilizzato fino
al 1437, quando fu espugnato dalle truppe del cardinal Vitelleschi. Poi iniziò
la decadenza ed il lento abbandono, così l’ opera inesorabile ed incontrastata
del tempo rovinò gran parte delle strutture murarie, tra le quali, però, fino a
tutto il sec. XVII continuarono a riunirsi, in seduta comune, i Consigli
amministrativi dei due paesi, Raviscanina e S. Angelo, originati dall’ esodo
degli abitanti del Castello di Ravecanina.
(Opuscolo della Pro Loco
Raviscanina. Ferragosto insieme, 1987.)
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